Teste di cavallo, culi di asino, code di maiale stirate, zampe di gallina, musi di zebre e cacche di cane, becchi di merli e aghi di riccio, denti di cobra, caccole di ippopotami, tarzanelli di rinoceronti e sonagli mozzati di serpentacci che è meglio incontrare sono nei libri...
Arrivava di tutto a casa del sindaco Versi, per somma disgrazia del postino di zona che ogni giorno faticava sette camicie - e rovinava le sospensioni del motorino aziendale - per recapitare al primo cittadino i segni dell'affetto e di stima di cui godeva in patria, nei luoghi d lavoro come nei salotti buoni e all'estero.
Minacce più o meno velate che il sindaco allo sbando tendeva a stigmatizzare con parenti e familiari ma che in realtà, confidava a Shin, la sua impareggiabile amante cinese, dea dell'involtino primavera, gli stavano togliendo il sonno da giorni.
All'improvviso sembrava che tutta Prato e metà della popolazione eurasiatica vantasse credito nei confronti.
Ma non era quello a non farlo dormire. Il motivo che rendeva lunghe e travagliate le sue notti e noiose quelle di Shin, era il fatto che Lui non lo chiamava più. Lui, il grande amore della sua vita. Lui il maestro di stile e grande mentore. Lui, Ridge Forrester.
Dopo gli ultimi scioperi a Pechino anche la Forrester Creation aveva voltato le spalle al filibustiere della "Volta e Gabbana". (vedi puntata ridge telefona a versi).
Così come era preoccupato dai deliri dell'assessore Filone. Versi ormai lo conosceva bene e dopo la fascistata dell'assessore Silly* che aveva risposto picche al governo, all'ipotesi di ospitare profughi libici nella città laniera, al motto idiota "siamo già la Lampedusa della terraferma", temeva la replica di Filone che, sicuramente non si sarebbe fatta attendere. Tanto più che era lunedì e come suo solito, l'ineffabile Filone, si sarebbe presentato in boxer e mocassini, con giacca e cravatta, nei suoi soliti discorsi alla città.
Eccolo lì Filone. Con la sua mente inutilmente spaziosa, fintamente corrucciata come se all'interno del suo cranio i due neuroni stanchi si fossero finalmente incrociati partorendo qualcosa se non di ragionevole per lo meno di umanamente apprezzabile. Con un po' di sforzo.
Parlava di cinesi.
Non quelli con i quali aveva appena concluso un importante affare immobiliare, ma i cinesi in senso generale, come dire i negri, gli zingari, i ladri, i barboni, i drogati e i banditi. I cinesi come massa indistinta, come entità sub umana, senza la dignità di una città di provenienza, una regione, una generazione, un nome, un sentimento. No i cinesi. Come dire l'uomo nero. Il lupo mannaro. L'Orco. I lebbrosi. Li Turchi.
Era uno dei grandi discorsi.
Uno di quelli da scrivere negli annali della Prato che non si racconta, che un giorno qualcuno avrà il coraggio o abbastanza pelo sullo stomaco da scrivere e inviare agli studenti nelle scuole ogni 27 gennaio, accanto alla dicitura chi non ha memoria non ha futuro.
- Cittadini...
...rullo di tamburi...
- abbiamo pazientato quarant'anni...
...donne che passavano malauguratamente di lì chiusero gli occhi...
- Adesso basta! Dobbiamo avere il coraggio di dire...
...e i nonni tapparono le orecchie ai bambini...
- Che i cinesi, comunemente detti musi gialli...
...silenzo prima dell'esplosione...
- SONO IL METASTASIO di Prato!!!
Il gelo.
Da sotto il balcone di piazza Datini, là dove come il suo solito, ogni lunedì, l'assessore Filone si affacciava al balcone e con la sua prominente mascella evoluta, lanciava stronzate in città come fosse antani.
I passanti si guardarono negli occhi mentre il baldo assessore alla sicurezza, coi pugni sui fianchi, cercava consensi tra il pubblico mettendosi in posizione di flash chiedendosi cosa cazzo avesse voluto dire. "I cinesi sono il Metastasio di Prato"?
Si era forse convertito alla multicultura e proponeva nuove collaborazioni artistiche in città?
- Avete capito bene: i Cinesi sono il Metastasio di Prato. La rovina della città!!!
E terminò il discorso scaracchiando contro il cielo e sparando agli sputi prima che atterrassero verso la piazza colpendo un tizio che usciva dall'edicola con in mano "il manifesto".
- Per lo meno un comunista.
Commentò ghignando.
Adesso era più chiaro grazie al collegamento cultura e rovina.
- Assessore...
Si affacciò sul balcone del palazzo comunale il suo timido funzionario. Tremante.
- Assessore non vorrei correggerla ma... si dice metastasi... non metastasio.
- Metastasi al plurale metastasio al singolare. Minghia.
- No si sbaglia assessore... Metastasio è un nome proprio, metastasi è il nome corretto!
- Ma sicuro fosti? Allora tutte le volte parlare del Metastasio di Prato sentii?
- Assessore ma quello è il teatro!
- Te-a-tro?
- Sì il teatro stabile Metastasio!
- E Che minghia fu teatro?
- Sta scherzando assessore?
- In polizia io fui mica tempo da perdere in stronzate ebbi.
- Il teatro quel posto dove la gente va a vedere uno spettacolo...
- Ma si chiama cinema minghia.
- No quella è un'altra cosa perchè vedi... insomma... se viene dentro glielo spiego... il teatro è quel posto dove la gente va, si siede in una specie di salotto un po' barocco e assiste a uno spettacolo dal vivo dove ogni persona recita un ruolo ben preciso...
- E non potevi dirlo subito che del consiglio comunale parlasti? E che minghia!
Rientrando nel palazzo indossando i pantaloni della domenica.
* Silly is a copyright of Marco Monzali The Great Director.
Ma siamo sicuri che Monzali abbia il copyright sul "Silly"? Voglio le prove, perchè io lo chiamo così da quando lo hanno fatto assessore...
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