Prato sembrava impazzita.
E anche il maestro Vannucci non ischerzava affatto. Andava avanti e indietro nel suo piccolo ma accogliente attico in pieno centro, parlando con Geppo, amico immaginario, fedele amico dei giorni più lieti.
Sottofono musicale i Rem, tanto per rimembrare.
Non sapeva in cuor suo se esser più incazzato per la violenza gratuita che aveva subito o preoccupato per la sorte dell'amico Morucci, di sicuro era desideroso di fare luce sull'intera vicenda.
Era stato l'unica persona ad avere avuto un contatto con lui prima della sparatoria, l'ultimo a sentire la sua voce e questo, secondo Geppo, voleva pur dire qualcosa.
Che fosse del cielo, del destino o del caso, Geppo non aveva dubbio alcuno: trattavasi inequivocabillmente di un segno.
La vita del Detective Morucci era anche nelle sue mani, e lui in quanto amico aveva il dovere di fare qualcosa. Anche se era un fottutissimo juventino, anche se quella sera aveva chiamato solo per sfotterlo per l'ennesima figura di merda della Vecchia Signora, chiese a Geppo.
Sì rispose Geppo: lui doveva fare comunque qualcosa anche se interista.
In un fumetto americano si sarebbe aperto la camicia mostrando la tuta con la VV del supereroe dall'identità nascostissima. Si sarebbe tolto i suoi occhialini da Clark Kent (per taluni da maniaco psicopatico) e avrebbe fatto giustizia... ma nonostante le buone intenzione del supereoe non aveva proprio la stoffa.
E nemmeno la tuta. Magari Superpippo, suggerì Geppo.
Sì ma ho finito le noccioline si lamentò il Viviano.
Orsù cosa poteva dunque fare? Se un vecchio segugio esperto come il Morucci stava lottando tra la vita e la morte, lui da solo non avrebbe certo avuto sorte migliore. No ci voleva assolutamente qualcuno ad aiutarlo, ma chi? In fondo in ogni giallo di infimo livello, in ogni piece teatrale, al protagonista occorre sempre una spalla. Ma chi andare a cercare?
Chi poteva essere un uomo di fiducia in un caso tanto scottante. Il Maestro Vannucci non sapeva trovare una risposta, così decise che era meglio uscire di casa, fare due passi, per vedere se tra le strade della Prato di notte avrebbe potuto trovare ispirazione. Ma tornò subito indietro quando la vicina del piano di sotto si mise a gridare per le scale.
Nell'enfasi di volere fare qualcosa si era uscito col il maglione a collo alto, ma scordandosi i pantaloni e le mutande.
Tornò in casa, si rivesti e scese.
Le strade erano deserte, come sempre a prato dopo le dieci di sera. E tirava vento. Come sempre a Prato di sera.
Aveva bisogno di bere qualcosa di forte.
Sì fermo al Caffè del Teatro ed ordinò un rum liscio. Lesse sul Tirreno l'ultima imbarazzante dichiarazione dell'assessore al famogli fuori tutti Filone.
Prometteva rastrellamenti di stranieri, schedature e telecamere ovunque. Gli faceva eco il sindaco Versi annunciando l'arrivo di 71 marines dell'Oklahoma, 43 granatieri piemontesi e 12 teste di cuoio d'Oltralpe.
Fu sorseggiando il bicchiere con lo sguardo fisso sul barista pugliese che lo fissava a sua volta che ebbe la più classica delle illuminazioni alcooliche.
- Juan Carlos Mazzantino de la Bagatta.
Lui era l'uomo giusto per darli una mano, gridò in faccia al barista pugliese. E corse via. Scordandosi di pagare il rum.
Il barista non ci fece caso, pulì di default per altri cinque minuti il bicchiere che aveva in mano poi prese il telefono.
- Juan Carlos Mazzantino de la Bagatta.
- Addirittura?
Commentò dall'altro capo del telefono il Libanese.
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