domenica 19 dicembre 2010

Let it snow (io, te e Juan Carlos) (80 puntata)

SCENA:
E infatti piove/vorresti uscire raffredarti  insieme aaaaa me/io vestito leggerissimo morrei/e mi abbandonerei/ per veder di nuooovo la vita mia/rapidissimo addio

La musica di Amedeo Minghi si diffonde nella stanza confondendosi al rumore del phon acceso da due ore e trentadue minuti:  da quando Juan Carlos  Mazzantino de la Bagatta, è uscito dalla doccia e, avvolto nell'accappatoio, si masturba ad occhi chiusi  con il riscaldamento sparato a trenta gradi centigradi, mentre la neve cade su Prato senza sosta da ore sulle note di La vita mia che in loop si alterna a 1950 (comunemente detta Serenella)

VOCE NARRANTE:
Prato era in ginocchio, la neve attesa da una settimana non solo era puntualmente caduta, ma era riuscita a sorprendere chiunque. 

Imbottigliamenti, tamponamenti, testa coda, scooteristi sdraiati in terra, massaie a culo all'aria per la strade dove si poteva trovare di tutto, tranne qualcuno che buttasse un pò di sale, diventato nel giro di un paio d'ore più introvabile del coltano.  Mica chiedeva la gente spalaneve, ruspe o caterpillar, elicotteri o i militari mandati dal governo  per stare a giro come scemi per il centro storico.
Sarebbe andato bene anche qualche vigile urbano con un paio di guantacci e due chantilly. Insomma per lo meno un po' di buona volontà da cenciaioli pratesi.

E se le furibonde bestemmie carpiate con triplo salto mortale e mezzo e avvitamento bruciavano nell'aere, ad opera di pendolari, studenti, cittadini e comuni sprovveduti  - che le catene ce l'avevano ma nel portabagagli che se tanto tanto si scioglie la neve si rovinano le gomme - niente potevano contro la lastra di ghiaccio che rendeva improponibile muoversi su mezzi che non fossero corrazzati.

Il sindaco Versi poteva essere felice, una volta tanto stava testa a testa all'odiatissimo rivale Lo Renzo, l'acerrimo primo cittadino fiorentino, da cui era diviso oltre che dallo schieramento politico, da atavico odio campanilistico che porta da sempre i pratesi doc a odiare i fiorentini, da cui dopo anni erano riusciti ad affrancarsi provincialmente, quasi quanto i maledetti dirimpettai pistoiesi.
E chi se ne frega se stava testa a testa per il dilettantismo amministrativo, quel che importava è che una volta tanto non parlassero di lui come di un imprenditore sull'orlo del fallimento e poi in fondo le prime pagine son pur sempre le prime pagine.

- Evvai diobonino a sto giro piglio le prime pagine anche io, così la smetteno di ragionà solo del fallimento della mi' Volta&Gabbana pe' corpa di que musi gialli maledetti che ce l'hanno co me, che poi e un si sa manco perchè.

Ma il più felice di tutti era sempre lui. L'ineffabile assessor Filone. Guardava ad occhi chiusi la neve cadere al suolo e fantasticava coi tre neuroni nella sua fronte inutilmente rugosa di stragi e tragedie in Chinatown.

- Se due gocce d'acqua, minchia, tre muse gialle fuori facessero, minchia, con trenta centimetri di neve si facerebbe una nuova Tienammenne minchia.

Camminava avanti e indietro e con ampi cenni-pardon-versi del braccio mimava le colonne dei giornali e annunciava a se stesso titoli a nove colonne. "Senza tetto assiderati"  "Rom congelati"  "Cinesi imprigionati" "Comunisti  stiantati". Poi prendeva il telefono e chiamava i suoi amici carabinieri, poliziotti, e camorristi. Ai primi due chiedeva a quanti siamo, agli altri dava dritte su come fare affari con la mafia cinese.
Lo seguiva pedissequamente Favanji, il comico-consigliere che non faceva ridere,  e che cercava disperatamente di regalare ai funzionari del comune biglietti omaggio del suo ennesimo rivoltante cine-panettone da vomito, non fossero che questi come lo vedevano cambiavano improvvisamente traiettoria, aprendo porte a caso o nascondendosi dietri i vasi di fiori ornamentali. Che poi Favanji il giorno dopo interrogava sempre tutti sulle sue battute del film e se uno non si mostrava preparato poi non è che succedesse niente ma si metteva a piangere come un bambinone che poi ti toccava consolarlo e promettergli che saresti andato a vedere il suo film.

SCENA:
Il Maestro Viviano Vannucci ha infilato la chiave nella toppa e aprendo la porta del suo appartamento viene investito da un'ondata di calore tropicale che scioglie all'istante la neve accumulatasi sul cappuccio del suo piumino, da quando ha lasciato la sua storica Citroen color topo, stampata contro un leccio in via Borgo Valsugana, per schivare un apino ribaltato, tornando a piedi a casa evitando perlomeno un imbottigliamento di sette ore per coprire la distanza di un paio di chilometri in linea d'aria.

Seduti al nostro caffè/ Serenella/La radio trasmetterà/la canzone che ho pensato per te/forse attraverserà/ l'Oceano lontano da noi/l'ascolteranno gli Americani/ che proprio ieri sono andati via/ con le loro camicie a fiori/colorano le nostre vie...

Ma nonostante la sfiga, nonostante la giornata storta, nonostante l'ultima follia del maniaco sessuale che tiene in casa come ospite è contento. Così da una pedata alla vecchiaccia che si lamenta della musica ad alto volume facendola rotolare per le scale. Poi si volta verso il Morucci e commenta felice fradicio:

"Finalmente  io te e Juan Carlos... quanti anni!"

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